ENEA


Racconto pubblicato sul n. 1/10 di 'Nigrizia'
Rivista dell'Africa e del "mondo nero" 
 
    di Carla Macoggi*
    I COLORI DI EVA - gennaio 2010









You don’t care about my point of view /
If I die another will work for you /
So you treat me like a modern slave…

(Asha)


Anche questa volta si svegliò nel cuore della notte. Nella sua parte sinistra, quindi. La parte della conoscenza che spiega tutto, che ha la risposta per ogni domanda, che fa grandi discorsi, calcola e analizza. Sentì il corpo aderire al letto duro come una pietra, ma poi pensò: «No, non è roccia. È il mio giaciglio. Sono nel mio nido, e mi sto facendo compagnia, in questa notte che ha anche lei una parte manca, come tutto».
Ormai era diventata una consuetudine. Cascasse il mondo, non riusciva più a dormire tutta la notte, come quando… come solo due anni prima. «È colpa del mio cervello. Lo so che, se solo mi concentrassi al momento di addormentarmi, riuscirei a sognare come una volta, a tenere gli occhi spenti e i pensieri chiusi con un lucchetto fino al sorgere del sole».
Gli parve che un vento gelido spirasse e lambisse il suo corpo, percorrendolo dai piedi alla testa. Era rannicchiato, con le ginocchia piegate e all’altezza dei suoi occhi. «Se mi distendessi, forse riuscirei a rilassarmi e mi riaddormenterei», pensò, mentre provava ad allungare lentamente le gambe. Il panno che lo ricopriva lasciò spuntare un calcagno e il freddo attaccò Achille, cogliendolo di sorpresa. Si riaccoccolò di nuovo con i brividi che salivano lungo la schiena fino alla testa china in avanti. «Così mi congelo, però. Così muoio. Meglio vivo e teso, o morto disteso?». Sorrise fra sé. «Mi sono proprio amico. Mi faccio ridere da solo».
Non vide il suo volto, ma sapeva che s’era incupito. Tornò a sorridere: «È perché è buio». Sapeva del tentativo d’ingannare la parte destra del suo cervello. «Sono un uomo, non una femminuccia. Un po’ di solitudine e di difficoltà, che vuoi che siano? Non mi metto certo a piangere e a lamentarmi. Cosa direbbe mio padre?».
Già, suo padre. Sua madre. Sua sorella. Era un po’ che non li vedeva. «Ma mio padre non lo rivedrò mai più», pensò.
Suo padre era morto da poco. Enea l’aveva amato e odiato, così come aveva fatto con sua madre. Con sua sorella, no. A lei era riservato un posto speciale nel suo cuore. Non avrebbe potuto odiarla, mai. Poteva solo amarla e lasciarle dire quello che voleva. Lei non l’avrebbe mai ferito e lui l’avrebbe adorata qualunque cosa succedesse al mondo. «Mio Dio, non so ancora per quanto… Sto morendo».
Nel ricordo dei suoi cari credette di scaldarsi un po’, di sentirsi un lieve tepore nelle membra, ma sapeva bene che stava cessando di vivere, congelato. «Sono surgelato come un baccalà. Muoio come un nasello in un freezer. Meglio, come i tonni di quel gioiello anni '50 di Vittorio De Seta, piccolo film dell’orrore per i pesci in agonia nelle misere barche, visti e poi dimenticati dallo spettatore che m’era accanto e aveva esclamato: “Oh! Alla fine della mattanza i pescatori hanno detto ‘Jesus’. Questa è una santa Messa, una preghiera sublime”. Una parola era stata capace di trasfigurare quel lago di sangue. Una supplica è in grado di giustificare guerre e crimini. I tonni e la Sicilia. Le balene e il Giappone. Gli orsi e i salmoni. I cercatori di pellicce e i piccoli delle foche… Basta con questi pensieri».
La madre di Enea era arrivata in Italia negli anni '70. Al seguito di una famiglia che aveva voluto rimpatriare dopo due generazioni di permanenza nella colonia fascista. Era la donna di servizio, la tuttofare per i cinque membri della casa: il capofamiglia, la moglie e tre bimbi birichini e adorabili. Silas dormiva nella cucina, su una brandina che veniva ripiegata durante il giorno. Mai si era potuta concedere un riposo durante la giornata, se non accasciata su una sedia per qualche secondo e con la grande abilità di pensare il suo corpo steso su una stuoia in riva al mare, nel suo paese di origine. In assenza della moglie, il suo padrone la traeva a sé nel letto matrimoniale e godeva di lei, che ancora sapeva di sale d’Oriente.
Quando Silas s’accorse di essere in “stato interessante” – dicevano così le persone d’altri tempi – lo disse a lui, perché cessasse di agitarsi convulso sul suo corpo senza chiederle se tutto ciò avesse o no significato per lei. L’uomo era abile e intelligente. E quando Silas andò dalla padrona per dirle che non poteva più continuare a vivere con loro perché si sentiva stanca, le fece intendere che era meglio lasciarla andare al suo destino, che gli africani sono ingrati, irriconoscenti per natura. Donna Franca andò su tutte le furie: non aveva mai sparecchiato una tavola o saputo dove fosse lo straccio per i pavimenti.
«Cercheremo una filippina, così smetterai di vergognarti del tatuaggio sul collo di Silas», le disse il marito. A lei non dispiacque come soluzione. Una schiava vale l’altra.
Enea fu il primo figlio di Silas. Il padre lo riconobbe e diede una casa alla sua seconda famiglia, con cui stava dal lunedì al mercoledì. Poi nacque Lisa, ma lei era femmina e lui non volle riconoscerla. Silas continuava a essere senza documenti, come pure Lisa: soggetti invisibili e inesistenti per lo stato italiano.
Enea non andò mai a scuola, ma lesse centinaia di libri e vide molti film. Finché un giorno uscì di casa e si ritrovò in un angolo del Pantheon presso la tomba di Raffaello. Il suo era un pellegrinaggio. Quella sera fu picchiato a sangue da gente sconosciuta, forse per quel colore della pelle più simile a quello di Silas che a quello di Pietro, il padre. «Il mio letto non è di pietra», disse, accovac ciato e sanguinante. «È marmo di Carrara. Questa è la mia tomba. Accanto a quelle dei re d’Italia, l’unico paese che io abbia mai visto. L’alba illuminerà il mio volto, perché sono qui, accanto alla lapide del mio artista preferito. Il nuovo giorno saprà che sono esistito».

Tomba di Raffaello, Pantheon

Nigrizia - 18/1/2010











*Nata in Etiopia, è arrivata da bambina in Italia. Ha scritto La via per il paradiso (ed. Sovera Multimedia, 2004). Il suo racconto “Luna” è apparso nella raccolta Linguamadre 2009 (ed. Seb27).